Effetti psicologici di una quarantena: quale impatto sulla nostra vita e cosa possiamo fare

09.07.2020

Cosa ha comportato, a livello psicologico, l'arrivo del Covid-19? Con cosa ci siamo dovuti confrontare durante il lockdown e nella successiva riapertura?

Natura sconosciuta del pericolo e conseguente isolamento come unica strategia di protezione

Il Coronavirus si è presentato a noi con la sua natura sconosciuta, con un impatto potente e in maniera imprevedibile, cogliendoci completamente impreparati e lasciandoci privati della possibilità di avere informazioni utili e attendibili che potessero aiutarci a rendere meno spaventoso quanto stava accadendo. Una delle strategie messe in atto per tamponare questa situazione, è stato l'isolamento sociale e la conseguente immobilità, uno dei fattori che più ci ha messo alla prova. Di fronte a situazioni stressanti e di pericolo, ci viene automatico cercare sostegno, vicinanza, una rete sociale che possa aiutarci a sentirci meno soli. In questa situazione, invece, il "sociale" è diventato pericoloso, per cui ci è venuto a mancare un appoggio fondamentale, che sono le relazioni umane e, per chi ha vissuto in solitudine la quarantena, il contatto pelle-pelle. L'essere umano nasce con il bisogno innato di relazione e di contatto, basti pensare ai neonati e all'importanza del contatto e della tenuta in braccio da parte della madre per potersi calmare e regolare. O pensare all'effetto calmante che ha il mettere una mano sul petto o sulla pancia quando siamo agitati. O un abbraccio ricevuto in un momento di difficoltà, che ci dà il permesso di lasciarci andare e poterci sciogliere in un pianto liberatorio, perché con quel contatto abbiamo sentito la giusta protezione per poterci lasciar andare alle emozioni. Gli esseri umani hanno bisogno di contatto ed è stato dimostrato come la deprivazione prolungata di questo, possa portare anche ad una modificazione del sonno, ad un indebolimento del sistema immunitario e ad un impatto potente anche sull'umore, fino ad arrivare alla depressione. Finita la fase del lockdown, abbiamo avuto modo di ritrovare le persone care, i colleghi, di incontrare gente in strada, poter incrociare sguardi casuali, MA tutto ciò è stato completamente diverso da prima. Si sta dietro ad una mascherina, a dei guanti, ad una distanza di un metro e mezzo, che ci ricordano costantemente che quella vicinanza, quell'interazione, potrebbe non essere sicura. Il messaggio che ci è arrivato (e che tutt'ora ci arriva, nonostante l'allentamento delle restrizioni) è quindi confuso: ho voglia di vedermi con i miei cari, ma nel vederli mi metto in allarme e devo proteggermi... proteggermi da qualcosa che di solito, invece, mi fa sentire al sicuro e che sento istintivo, come il contatto fisico.

L'imprevedibilità, la natura sconosciuta del Covid-19 e tutte le conseguenze sociali, lavorative e affettive, ha chiaramente innescato una reazione di forte stress in ognuno di noi. Sotto stress, il nostro corpo reagisce con la produzione di adrenalina, cortisolo, con l'aumento della respirazione, con la contrazione della muscolatura, per renderci pronti ad una reazione di attacco o fuga. Ma mentre di fronte ad un chiaro stimolo stressante (come può essere un leone o un esame da sostenere) avremo poi una fase di scarica e recupero della tensione e dell'energia (necessaria per riequilibrare il battito cardiaco, la circolazione, gli ormoni), nella nostra situazione, questa fase è venuta meno per molti di noi. Siamo stati costretti a rimanere immobili di fronte a un pericolo costante, invisibile e non conosciuto. Trattenere la carica emotiva per un periodo prolungato, ci fa entrare in uno stato di sovraccarico, attivando sintomatologie che a lungo andare possono diventare croniche (ansia, tensioni muscolari, insonnia, indebolimento sistema immunitario) e tutto ciò minaccia ancora di più la nostra salute psicofisica.

Mancanza di controllo sulla situazione

Per la maggior parte delle persone, ciò che aiuta a sentirsi al sicuro è la possibilità di prevedere eventuali rischi e sapere di avere la possibilità di prevenirli e quindi avere l'idea di gestirli. "Ho la situazione sotto controllo", come modo per darsi il permesso di stare tranquilli e di avere opzioni nel caso in cui i nostri programmi andassero in fumo. Durante la quarantena, il nostro mondo è diventata la nostra casa. Abbiamo perso il controllo di ciò che c'era fuori dalle nostre quattro mura (lavoro, aspettative, desideri, sicurezza di salute), ma lo abbiamo ritrovato dentro casa. In un ambiente che è diventato, per quanto piccolo e limitante, il nostro luogo sicuro, lontano dal virus e da contagi. Ci siamo dovuti adattare, reinventare, riscoprire, utilizzare la nostra creatività per occupare il tempo. Da quando è finito il lockdown, ci siamo ritrovati di nuovo con la porta di casa aperta e la possibilità di uscire, ma in un mondo nuovo. Per molti questo è stato più difficile dell'isolamento in sé, perché ci è stata data la possibilità di uscire in un mondo che non è più sicuro come prima e soprattutto non è più sicuro della nostra casa, in cui abbiamo trovato invece un rifugio per due lunghi mesi. Da qui si è parlato della "sindrome della capanna", la difficoltà cioè di uscire da un luogo protetto per immergersi nell'incertezza. Uscire di nuovo, vuol dire non dover più pensare al mantenere le routine che ci siamo costruiti durante la quarantena e che ci davano sicurezza e contenimento. Anzi, significa modificarle di nuovo, confrontarci con la precarietà, con la mancanza di un obiettivo, soprattutto per chi ha perso il lavoro o sta aspettando di poterlo ricominciare. Vuol dire confrontarsi di nuovo con la perdita del controllo. Sappiamo di dover convivere con un virus che è ancora presente e che non sappiamo come si svilupperà, come si modificherà, e ciò porta incertezza. Viene da sé che tutto ciò che ne scaturisce è uno stato di ansia e preoccupazione costanti.

Ci siamo dovuti fermare

La quarantena ci ha costretti a "stare con": non siamo abituati a fermarci e sentire cosa ci capita. Avevamo una vita piena, di corsa, con troppe cose a cui pensare, tranne noi. Il lockdown ci ha costretti a fermarci e stare con quello che ci capitava e che sentivamo: a partire dalle emozioni di paura, angoscia, rabbia e frustrazione rispetto al non poter avere la nostra vita normale. Fino ad arrivare ad aspetti più profondi di noi. Poter e dover stare in contatto con le proprie emozioni, se non si è abituati a farlo, può essere difficile e spaventoso. Non si riesce a capire se è uno stato generato dal lockdown o se è un mondo emotivo a cui non abbiamo mai dato ascolto, ma che è sempre stato lì. E subentra la confusione legata al non capire perché, da dove arriva questa emotività, se riusciremo a conviverci o a uscirne. Perché abbiamo sentito spesso dire "ne usciremo cambiati"? Non è solo per le modificazioni pratiche legate all'uso, ad esempio, delle protezioni, alle distanze sociali, ai disastri che purtroppo hanno accompagnato molti di noi che hanno perso cari o hanno perso il lavoro. Ne usciremo e ne stiamo uscendo cambiati, perché durante l'isolamento (sia per chi era in famiglia, in coppia o solo) ci siamo dovuti confrontare con il nostro mondo interno, a volte con quello che abbiamo fatto fino a quel momento della nostra vita. Per alcuni può essere stato più difficile tornare a sé, confrontandosi con proprie difficoltà personali trascurate fino a quel momento per "mancanza di tempo" (e in quarantena non si poteva più fuggire). Per altri invece, tornare a sé ha significato tornare alla cura di sé: il buon cibo, più tempo per dedicarsi ai propri hobby e alla famiglia, il desiderio di tornare anche al proprio corpo. All'inizio è capitato spesso di sentire osservazioni rispetto al fatto che in quarantena "sono diventati tutti runner e amanti della natura". Tornare al proprio corpo vuol dire riscoprire l'esigenza che abbiamo di prendercene cura, di sentirlo, di nutrirlo, di scaricare le energie accumulate con l'ansia, la paura e l'immobilità, attraverso l'attività sportiva e all'aperto. Tornare a sé e "sentirsi" per due mesi, in un contesto di fermo forzato, ha attivato tanto in ognuno di noi. Da sofferenza a nuove scoperte, da stress a capacità di adattarsi e far fronte anche ad una situazione che mai nessuno di noi avrebbe pensato di poter vivere e che ci ha segnati per sempre. Quindi si, indubbiamente ne stiamo uscendo cambiati, nella misura in cui ci portiamo dentro tutto quello che abbiamo vissuto in quei due mesi.

COSA CI PUO' AIUTARE ORA?

La resilienza

Nella fisica, la resilienza viene descritta come la capacità di un materiale di resistere a un urto improvviso e di sopportare sforzi applicati bruscamente senza spezzarsi e senza incrinature. In psicologia, è la capacità di un individuo di resistere agli urti della vita senza spezzarsi o incrinarsi, mantenendo e potenziando le proprie risorse sul piano personale e sociale. Di natura siamo esseri viventi adattabili: se pensiamo al periodo di quarantena, in quei due mesi ci siamo creati abitudini e routine per poter "sopravvivere" alla chiusura e al fermo obbligato. Abbiamo ricominciato a prenderci cura della casa, a cucinare, a portare avanti hobby lasciati da parte, e ci siamo scoperti capaci di fare cose a cui prima non avevamo mai pensato. La creatività ci ha indubbiamente aiutati nel reinventarci. Come ci siamo adattati ad una situazione "alienante" come quella, possiamo farlo anche ora che stiamo riprendendo una vita che sembrerebbe quella di prima, anche se non del tutto. Pensiamo alla capacità che abbiamo avuto di adattarci all'isolamento: per far fronte a questo, la comunità ha creato un modo per sentirsi "vicina" attraverso gli appuntamenti quotidiani sui balconi. La resilienza collettiva è stata davvero potente nel trovare un modo per compensare la lontananza e per crearsi una routine che strutturasse un tempo non più scandito da impegni. Pensiamo alle risorse che abbiamo attivato in quei momenti, pensiamo al fatto che possiamo adattarci anche a questo, che adesso siamo facilitati dal poter uscire e dal poter di nuovo SCEGLIERE cosa e come fare. La scelta ci permette di riprenderci il potere sulla situazione. Abbiamo scoperto, in isolamento, quali sono le nostre paure, le nostre mancanze, le cose per noi importanti. Quindi scegliamo quelle cose che ci procurano benessere, che ci fanno sentire liberi, consapevoli che alcune limitazioni ci sono ancora, ma che possiamo scegliere di proteggerci come, dove e con chi vogliamo.

Smettere di 'combattere' contro quello che ci sta capitando

Lottare contro la situazione che viviamo (sia essa esterna o interna/emotiva) ci toglie energie, ci fa sentire scoraggiati e stanchi perché è qualcosa che non possiamo cambiare (e qui si torna al bisogni di avere il controllo). Accettiamo che la realtà è diversa oggi, che bisogna ancora stare allerta e che ci sentiamo tristi, spaventati, in ansia. Potersi fermare e dire "ok, mi sta capitando questo, lo vedo, lo sento, ci convivo" ci farà sentire accolti da noi stessi e ci sentiremo più in pace. Pensiamo a quando parliamo con qualcuno dei nostri problemi e al piacere che proviamo nel sentirci capiti, sostenuti, senza giudizi. Lo stesso possiamo farlo con noi stessi. Accogliamoci, senza esprimere un giudizio su quanto è giusto o sbagliato quello che sentiamo.

Ascoltiamo le nostre emozioni

Le emozioni hanno una FUNZIONE, anche quelle che vengono definite "negative", che io preferisco chiamare "spiacevoli". La paura, per esempio, nelle giuste quantità, è efficace ed utile per permetterci di percepire un pericolo e quindi proteggerci adeguatamente (ascoltarla ci permette di portare avanti la nostra vita, aiutandoci con i dispositivi di protezione, con le distanze sociali, con l'evitamento di assembramenti). Sono limitazioni, è vero, ma nell'ottica di quello che sentiamo, in realtà sono strategie per permetterci di calmarci. La tristezza ci dice che qualcosa ci manca, che qualcosa non sta andando come vorremmo. Ascoltiamola, lasciamoci piangere se è questo che ci viene. Perché nel pianto, l'energia accumulata si scarica, si lascia andare. E subito dopo ci sentiremo più lucidi per orientarci sull'ottenere quello che desideriamo, quello che ci mancava, e, se non è possibile, trovare altro che possa nutrirci in modo simile. Questo vale per tutte le emozioni. Nel momento in cui ci diamo il permesso di fermarci (cosa che ormai sappiamo fare, perché la quarantena ci è venuta incontro sotto questo punto di vista), possiamo anche sentire e discriminare quello che proviamo. Le emozioni ci parlano dei nostri bisogni, ed i bisogni sono il timone che ci dà direzione nella vita.

Raccontarsi

La narrazione di sé ha un potere terapeutico molto potente. Quando ci si sente confusi, sopraffatti, potersi raccontare ed esprimere, anche attraverso, ad esempio, qualcosa di scritto, ci permette di riorganizzare i pensieri, di riconoscere alcuni nostri meccanismi, di esprimere le nostre emozioni e poterle poi rileggere da un nuovo punto di vista.

Partiamo anche dal corpo

Ormai il legame tra la mente ed il corpo è dimostrato essere molto forte. Questi due aspetti sono infatti capaci di influenzarsi reciprocamente, portando modificazioni significative a livello psicofisiologico in tutti noi. Ciò lo possiamo usare come risorsa per aiutarci in questo periodo. Partendo dalla cura del nostro corpo, possiamo stimolare un benessere psicologico che può manifestarsi con un senso di appagamento, rilassamento, serenità e maggiore energia. A partire dall'alimentazione o dall'attività motoria (30 minuti al giorno) possiamo stimolare la produzione di serotonina, anche detto ormone della felicità, e contrastare la secrezione del cortisolo (l'ormone dello stress) che mette a dura prova il nostro organismo. In particolare, sostanze che stimolano serotonina sono il cacao, i carboidrati meglio se quelli integrali, gli omega3. Sarebbe bene evitare la caffeina perché è un soppressore della serotonina. Ci sono poi diverse tecniche di rilassamento che permettono di fermarsi e stare in contatto con noi stessi, partendo da una posizione di semplice ascolto e osservazione del nostro stato e dal controllo del respiro. Quest'ultimo è un aspetto cruciale su cui si fondano, appunto, le tecniche di rilassamento: la respirazione a livello toracico produce un innalzamento del livello di tensione, portando così una maggiore attivazione e uno stato di allerta (tipico dello stato di stress e ansia, in cui c'è affanno ed un respiro breve e veloce); quando la respirazione è invece più addominale, lenta e profonda, si va incontro ad una condizione di vagotonia, quindi di rilassamento. Utile strumento, in linea con quanto detto rispetto allo "stare" e all'osservarsi e accettarsi benevolmente (fondamentali per far fronte a questo periodo di difficoltà e per non gravare anche sul sistema immunitario) è la pratica della mindfullness. Pratica che consiste in una forma di meditazione accogliente che permette di trovare una serenità e accettazione, che ci apre le porte verso ciò che può farci bene.

Chiediamo aiuto

Se ci accorgiamo che stiamo faticando troppo per ritrovare un equilibrio e che le nostre energie non riescono a rigenerarsi per far fronte a stimoli che viviamo troppo grandi, non esitiamo a chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta o ad uno dei servizi telefonici di sostegno psicologico attivati per affrontare questo periodo. Farlo vuol dire prendersi cura di sé e accettare che, al momento, abbiamo bisogno di qualcuno che ci accompagni fuori da questo labirinto e ci aiuti a ritrovare quelle risorse che abbiamo, ma che al momento non riusciamo vedere.

Cosa abbiamo imparato e cosa ci portiamo da questa quarantena? Sicuramente ci porteremo la vulnerabilità, la nostra interiorità, le cose semplici

Serena Brilli - Psicologa Psicoterapeuta
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